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Condominio: quando il parcheggio è motivo di lite e finisce in tribunale

Alessia Calabrese

Economista - Imprenditrice - Vice Tesoriere Nazionale UNAI

 

L’uso improprio della propria autovettura che parcheggiava nei pressi dell’auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale (pochi centimetri} da non consentire al conducente di scendere dal suo lato, si configura violenza privata nei confronti di un altro utente della strada.

 

Nell’ambito del condominio, si verificano spesso liti che hanno dell’inverosimile e forse sono solo la conseguenza della convivenza forzoso in spazi e contesti, necessariamente, condivisi, quali le parti comuni e lo stesso fabbricato condominiale.

Non di rado, un piccolo malinteso o uno “sgarro involontario” (come può essere quello di lasciare, per il tempo di fare un’altra cosa, dei pacchi o degli oggetti in un luogo di transito comune), genera prima un commento seccato o un mini diverbio, poi risentimento e, a seguire, talvolta, una faida condominiale di dispetti reciproci.

Uno dei maggiori motivi di lite, non è, come in passato, i panni stesi, ma il parcheggio nelle aree comuni.

insieme a

Chissà quante volte è capitato anche a noi di non poter neppure salire sull’auto, perché ce n’era un’altra praticamente «incol­lata» alla vostra?

Tra persone calme e consapevoli questa cosa si risolve citofonando al proprietari della vettura e facendola spostare. Qualche altra volta la questione non si risolve perché è impossibile rintracciare l’altro automobilista.

Di fatto, o riusciamo, in qualche modo, ad intrufolarci nella nostra auto e riusciamo ad uscire dal parcheggio oppure la nostra vettura resta lì, intrappolata, e noi dobbiamo rinunziare ad utilizzarla.

Altre volte capita che qualcuno arrivi e ci parcheggi a fianco o dietro impedendoci di uscire dal parcheggio o addirittura di uscire dall’auto.

Su un caso analogo è intervenuta la Corte di Cassazione, Sezione V Penale, con la sentenza del 30 novembre 2017, n. 53978, sentenziando che questo comportamento si configura come reato penale.

La Corse ha condannato un automobilista per violenza privata nei confronti di un altro utente della strada per “uso improprio della propria autovettura che parcheggiava nei pressi dell’auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale (pochi centimetri} da non consentire al conducente di scendere dal suo lato.

Com in situazione analoghe, condominiali, quando gli animi sono esasperati e i diverbi sono ormai sfociati il lite aperta e in una sorta di faida familiare, nella fattispecie presa in esame dalla Corte si è trattato di un litigio stradale perché il “parcheggio” accanto alla porta è avvenuto con l’altro automobilista a bordo, nel corso del solito battibecco per motivi di viabilità.

Benché gli avvocati dell’accusato, in giudizio, abbiano dimostrato che “l’offeso” era riuscito comunque, anche se con difficoltà, ad uscire dall’auto e, comunque, dalla portiera del lato guida, per discutere con l’altro automobilista, ciò non ha influito sull’esito della lite giudiziale: il “parcheggio” troppo “accostato” all’altra vettura è stato considerata a tutti gli effetti “violenza privata”.

Indubbiamente questa sentenza della Cassazione farà discutere, dal momento che, ormai, è prassi consolidata, nelle città, a causa degli spazi limitati, parcheggiare in modo tale da lasciare uno spazio risicato fra la propria vettura e quelle già parcheggiate.

Talvolta è la portiera del parcheggiante che è difficile da aprire, per mancanza di spazio, sicché il conducente è costretto a scendere dall’altro lato della sua vettura.

Altre volte è la portiera lato guida dell’altro veicolo già parcheggiato, che risulta non avere sufficiente spazio per consentire al conducente di uscire, se non con difficoltà, … specie se questi è corpulento.

Quasi sicuramente, nel caso trattato dalla Corte, si sarà trattato di una di queste due fattispecie.

Sarà capitato a tutti, almeno una volta.

Per la Sprema Corte, però, aver costretto una persona a uscire dal lato opposto, ha “condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento della persona offesa”.

I giudici, infatti, hanno precisato che “la violenza privata si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e azione”.

Posizionandosi con la propria vettura a pochi centimetri dello sportello, lato autista, dell’autovettura della persona offesa, la quale, per la presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non poteva in alcun modo spostarsi, l’accusato ha costretto la parte offesa a scendere dal lato opposto.

Da qui la condanna per violenza privata ex art. 610 c.p.

Questo fatto, che non si è verificato in condominio, è però di monito anche per i condomini e per noi amministratori.

 

 

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

===================

 

Sez. 5 N. 53978

Anno 2017

 

Presidente: FUMO MAURIZIO

Relatore: FIDANZIA ANDREA

Data Udienza: 12/10/2017

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

  1. M. nato il 05/10/1968 a MILANO avverso la sentenza del 16/06/2016 della CORTE APPELLO di MESSINA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Con­sigliere ANDREA FIDANZIA. Udito il Pubblico Minis­tero, in persona del Sostituto Procuratore MARIO MARIA STEFANO PINELLI che ha concluso per II Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità in subordine l’annul­lamento senza rinvio per prescrizione Udito il difen­sore Penale.

 

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 16 giugno 2016 la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado con cui Caravello M. è stato con­dannato alla pena di giustizia per il delitto di violenza privata ai danni di Grasso G. perché mediante violenza consistita nell’uso improprio della propria autovettura, che parcheggiava nei pressi dell’auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale (pochi centimetri) da non consentire al conducente di scendere dal suo lato, costringeva Grasso G. a scendere dall’altro lato della propria autovettura e ad affrontarlo.

Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha pro­posto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi.

2.1. Con il primo motivo è stato dedotto vizio di moti­vazione e violazione dell’art. 606 c.p.p.

Lamenta il ricorrente che, nel caso di specie, non si era verificata alcuna violenza privata, atteso che l’impu­tato non aveva parcheggiato la propria autovettura, ma l’aveva posta solo in prossimità di quella del Grasso per discutere con lo stesso e la persona offesa era comunque scesa dal proprio mezzo, dall’altro lato, per discutere con il prevenuto. Peraltro, il ricorrente assume di aver affrontato la persona offesa in relazione alle precedenti minacce da quest’ultimo rivolte alla propria moglie e suocera.

2.2. Con il secondo motivo è stato dedotta violazione di legge per contraddittorietà manifesta. Pone in dubbio il ricorrente la ricostruzione che la sua autovettura si fosse posizionata a pochi centimetri da quella della per­sona offesa dato che, diversamente, anche lo stesso non avrebbe potuto scendere dal proprio veicolo.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il primo motivo è inammissibile in quanto manifes­tamente infondato.

Va preliminarmente osservato che ai fini della configura­bilità del delitto di violenza privata, il requisito della vio­lenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. (Sez. 5. n. 8425 del 20/11/2013, Rv. 259052; vedi anche Sez. 5, n. 16571 del 20/04/2006, Rv. 234458 nonché Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003, Rv. 228063). Non vi è dubbio che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, il ricorrente, posizionandosi con la propria autovettura a pochi centimetri dello sportello lato autista dell’autovettura della persona offesa, la quale, per la presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non poteva in alcun modo spostarsi, ha costretto la stessa parte offesa a scendere dal proprio mezzo per affrontarlo in una discussione (allo scopo di ottenere lo spostamento del mezzo).

Né rileva che il Grasso sia stato comunque in grado di scendere dall’autovettura (dal lato passeggero), aven­do con tale condotta il ricorrente pesantemente con­dizionato la libertà di autodeterminazione e movimen­to della persona offesa. Peraltro, le deduzioni del ricor­rente, secondo cui avrebbe affrontato la persona offe­sa in relazione alle precedenti minacce da quest’ulti­mo rivolte alla moglie ed alla suocera, oltre che irrilevan­ti, sono inammissibili in quanto formulate per la prima volta nel ricorso e quindi non consentite a norma del­l’art. 606 comma 3° c.p.p.

  1. Anche il secondo motivo è inammissibile, implican­do una censura che, oltre ad essere in fatto, è tardiva. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.



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