
Attenti alla “giustizia faida te” in condominio: scatta il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
Sempre più spesso i rapporti di vicinato portano a litigiosità nel condominio. I dati sono allarmanti, ma occorre rispettare regole comportamentali precise, onde evitare di incorrere nel c.d. reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.Lo conferma il Tribunale di Campobasso, con sentenza del 1/02/2019, depositata in Cancelleria il 12/04/2019. |
Sebbene la convivenza in condominio rende – come dimostrano i dati – sempre più spesso la convivenza tra vicini, occorre comunque rispettare determinate regole comportamentali ed evitare di risolvere il problema facendosi giustizia da sé. Non si tratta solo di buon senso; scatterebbe, infatti, in tal caso il c.d. reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Analizziamo, a dimostrazione di ciò, il caso sottoposto al Tribunale di Campobasso lo scorso febbraio 2019.
La vicenda
Soggetto A rimuoveva, a bordo di un escavatore, una piccola rampa di cemento che permetteva l’accesso ai garage di proprietà del soggetto B, in quanto la stessa gli rendeva difficile l’entrata e l’uscita con gli automezzi alla sua proprietà, subendo, inoltre, in caso di pioggia, il convogliamento delle acque.
Il Pubblico Ministero, con decreto del 24 aprile 2017, disponeva la citazione a giudizio del Soggetto A per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni; Soggetto B si costituiva parte civile.
Il ragionamento del giudice
Dallo svolgimento del processo e dall’istruttoria dibattimentale, oltre ogni ragionevole dubbio, emergeva la piena responsabilità del Soggetto A: Lo stesso, infatti, assumeva una condotta che si configurava appieno come la fattispecie dell’art. 392 c.p., il quale sancisce che:
“Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Si ha altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico“.
Conclusione
In quella circostanza viene, dunque, provato che la condotta del Soggetto A è stata possa in essere con violenza, ove per violenza viene inteso qualsiasi danneggiamento o trasformazione o mutamento di destinazione della cosa.
Difatti, un simile reato ha come presupposto un diritto in contestazione e la possibilità di ricorrere all’Autorità Giudiziaria per il riconoscimento dello stesso. Il reato si intende perfettamente integrato nel momento in cui il diritto viene esercitato in “autotutela“, espletando così violenza sulle cose e sulle persone, come appunto nel caso in questione.
La regola applicata al caso di specie può essere replicata in tutti i casi in cui, per tutelare propri diritti, anziché farsi valere in apposite aule giudiziarie, si preferisce “farsi giustizia da sé”, quindi tanto nei rapporti di vicinato, quanto in condominio.
È da sottolineare che di fondamentale importanza è l’analisi, volta per volta, dell’elemento soggettivo: presupposto necessario per la configurabilità del reato non è, infatti, che il diritto oggetto della illegittima pretesa sia realmente esistente, bensì è sufficiente che l’autore del reato agisca nella ragionevole convinzione di difendere un suo diritto.
Questo è quanto osservato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte, che sottolinea che:
“In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi “quid pluris”atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato” (ex multis: Cass. pen. Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016), tanto che, sempre secondo l’insegnamento della Suprema Corte, “In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non è applicabile la scriminante dell’esercizio del diritto in quanto la convinzione di esercitarlo costituisce essa stessa elemento costitutivo del delitto” (Così Cass. pen. sez. 6, n. 25262 del 21/02/2017.)
In condominio, diverse pronunce ripercorrono quest’orientamento, riconoscendo quale “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, l’interruzione del servizio di erogazione dell’acqua e del riscaldamento al condomino non in regola con il pagamento delle quote condominiali.(Trib. di Modena del 05/06/2015 – Trib. Roma del 17/02/2014 – Trib. di Brescia del 21/05/2014).
Nel caso, dunque, in cui l‘amministratore di condominio voglia sospendere le forniture in danno del condomino moroso da più di sei mesi ai sensi dell’art. 63 delle disp. att. c.c, deve innanzitutto chiedere l’autorizzazione al giudice, così da essere legittimato in tal senso, oltre che l’indicazione dei limiti e delle modalità concrete del distacco delle forniture (come da Cass.47276/2015).
La stessa Corte di Cassazione ha poi identificato altri casi in cui si è configurato il medesimo reato. Sezione. penale, con sentenza n. 23391/2017,condannava per il medesimo reato un condomino che aveva rimosso con violenza, dalla facciata condominiale di uno stabile in cui abitava, la scala poggiata per consentire ad un operaio di salire sul tetto per ripulire un camino di una condomina vicina, impedendogli di scendere per oltre 40 minuti.
Ancora, con sentenza 40540/2017, quando ha confermato il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose ad una condomina che aveva reso impossibile alla vicina l’accesso al lastricato solare per stendere i panni, costruendo un cancello, chiuso a chiave, nelle scale in comproprietà tra le due proprietarie.
Le conclusioni cui giunge il Tribunale di Campobasso, per il fatto in esame, non possono che confermare tutte le pronunce sin ora descritte.
Pertanto, con sentenza del 1 febbraio 2019, depositata in Cancelleria il 12 aprile 2019, ritenuta la responsabilità del Soggetto A in ordine al reato di cui all’art. 392 c.p., valutati i criteri direttivi dell’art. 133 c.p. ed in modo particolare, le modalità della condotta, visti gli artt. 533 e seguenti c.p.p.,dichiara Soggetto A colpevole del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e, concesse le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di euro trecento di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 538 e seguenti c.p.p. condanna il prevenuto al risarcimento dei danni causati a Soggetto B, costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede, concedendo allo stesso una somma a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, pari Euro mille, oltre alla refusione delle spese dalla stessa sostenute per la sua costituzione e rappresentanza in giudizio che si liquidano in complessivi euro tremilaquattrocentoventi, oltre al rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge.
Focus
I litigi in condominio: i dati sono allarmanti
In questi anni, sempre più spesso i litigi tra vicini di casa finiscono nelle aule di tribunale. Le discussioni nascono per le più svariateragioni.
Tra i principali motivi di lite si possono enumerare:
- gli odori fastidiosi provenienti da altri appartamenti (in genere legati all’utilizzo della cucina);
- rumori molesti: tv o radio a volume eccessivo, scarpe col tacco, sedie spostate, ecc.;
- animali domestici: cani che sporcano il cortile, che abbaiano eccessivamente, che attaccano altri condomini, gatti che miagolano di notte;
- errato utilizzo delle aree condominiali comuni: auto parcheggiate in modo errato, materiali depositati negli androni, terrazze condominiali usate come ripostigli);
- problemi connessi ai cortili o ai giardini condominiali: bambini che giocano a pallone, persone che parlano a voce alta);
- vertenze con l’amministratore di condominio: richieste inevase, lavori non eseguiti, manutenzione dei locali non effettuata;
- piante e balconi: innaffiatura eccessiva, foglie che cadono, tovaglie e tappeti sbattuti dal piano superiore.
Chiaramente, La prima figura tenuta ad intervenire è l’amministratore di condominio”, che funge, dunque, da “primo filtro”, tenendo presente, però, che quest’ultimo non può intervenire per le questioni concernenti controversie private tra due condomini, cioè nei casi in cui si tratti di tutelare una delle due proprietà individuali. Più propriamente, l’amministratore non può intervenire,ad esempio,se un condomino insulta un altro condominio; oppure quando riempie di cartacce la sua cassetta delle lettere.
Diversamente, l’amministratore ha il dovere di intervenire in tutti quei casi in cui la lite riguarda un comportamento che costituisce anche violazione del regolamento condominiale. Si consideri,ad esempio, il caso in cui un condomino, a differenza di quanto prescritto nel regolamento, usi l’aspirapolvere alle 5 di mattina oppure un soggetto che lasci puntualmente il portone dell’edificio aperto, agevolando l’ingresso di sconosciuti nello stabile, ecc.
Ancora, l’amministratore, ha il dovere di intervenire quando la lite riguarda questioni legate all’uso delle parti comuni. È questo il caso del condomino che parcheggia l’auto nel giardino in modo da impedire il transito alle altre auto o quello del condomino che sporca l’ascensore ecc.
In questi casi, l’amministratore deve avvisare verbalmente il colpevole e, se non sufficiente, richiamarlo all’ordine in via formale con una raccomandata.
La preoccupante indagine del CODACONS.
In alcune regioni italiane,l’associazione dei consumatori ha condotto una stima in merito al contenzioso cause condominiali presente nelle aule di tribunale.
I dati emersi sono a dir poco allarmanti, come si evince di seguito. Si riporta il numero delle cause civili per regioni:
- Puglia: 130.000
- Sicilia: 160.000
- Liguria: 50.000
- Friuli Venezia Giulia: 40.000
- Toscana: 120.000
- Abruzzo: 43.000
- Trentino Alto Adige: 30.000
- Lazio: 190.000
- Campania: 190.000
- Veneto: 160.000
- Umbria: 30.000
Come osservato dall’indagine, si evince, dunque, una scarsa propensione dell’italiano al rispetto delle più elementari regole del condividere spazi nel rispetto del vicino.
I motivi possono essere i più disparati: crisi economica che genera insicurezza nella gente e propensione a sfogare le proprie frustrazioni col vicino, o il semplice fatto di abitare in condominio che molti vivono come male necessario rispetto a prezzi più elevati di case indipendenti.
Al di là di quella che sia la ragione della litigiosità, si vuole in questa sede porre l’accento su alcuni tra i principali strumenti previsti dalla normativa italiana per mantenere il buon vivere civile in condominio o per ripristinarlo il più velocemente possibile qualora sia insorta una lite.
Spesso, il soggetto che si ritiene danneggiato dal vicino (nel suo ambito privato o congiuntamente agli altri condòmini), cerca di coinvolgere l’amministratore di condominio, come se ritenesse che tale soggetto fosse legittimato ad intervenire su qualunque cosa accada all’interno del complesso da lui gestito. E, di fatto, spesso sono proprio le forze dell’ordine ad indirizzare verso l’amministratore, sebbene il più delle volte immotivatamente, il privato che si presenta da loro per le denunce del caso.
In particolare,nel caso di attività rumorose,il coinvolgimento dell’amministratore è possibile solo qualora si ipotizzi “un pregiudizio incombente sul condominio in quanto tale, vale a dire sui beni di proprietà comune ex art. 1117 c.c.” (come sottolineato dal Trib. Napoli, ord. 26 ottobre 1993).
Essendo un simile pregiudizio arduo da provare, la regola generale da seguire è quella per cui l’amministratore non possa agire in giudizio contro i soggetti rumorosi, nemmeno su delibera assembleare.
Il diritto alla salute dei condòmini, infatti, che racchiude anche il diritto al riposo,anch’esso costituzionalmente garantito, rientra tra quelli esclusivi e personali e, in quanto tale, legittimati alla sua tutela sono i singoli privati (Trib. Napoli, ord. 29 giugno 1999).
Nell’ipotesi in cui la violazione lamentata rientri nella sfera di intervento dell’amministratore, vediamo, dunque, quali sono le attività che lo stesso può attuare per far cessare l’azione disturbatrice.
L’amministratore può, sicuramente ed innanzitutto, inviare un richiamo al soggetto interessato, preferibilmente per iscritto: spesso un semplice appello ad astenersi dal continuare le attività lamentate può rivelarsi sufficiente.
Tuttavia, il principale strumento stragiudiziale a disposizione dell’amministratore di condominio è senz’altro la sanzione economica prevista dall’art. 70 disp att. c.c. passata dalle 100 lire della normativa risalente al 1942, ai 200 euro come prima violazione, fino ad un massimo di 800 euro in caso di recidiva, così come previsto dalla regolamentazione in vigore dal 18 giugno 2013.
Non si rende necessario che la sanzione sia disposta dallo stesso regolamento condominiale, bastando una delibera assembleare adottata a maggioranza degli intervenuti rappresentanti almeno 500 millesimi. La medesima norma, infatti, specifica che “L’irrogazione della sanzione e’ deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del Codice.”.
Qualora le azioni sopracitate non risultassero sufficienti (o non adottabili) a determinare la cessazione della violazione, non rimarrebbe che il ricorso alle vie giudiziali con azioni quali l’inibitoria o la risarcitoria.
È utile, in questa sede, ricordare che dal combinato disposto dall’art. 71 quater disp. att. c.c. e dal D.lgs n. 28/2010, le controversie inerenti l’osservazione del regolamento di condominio sono soggette al tentativo obbligatorio di conciliazione.
Prima di portare in Tribunale (o dal Giudice di pace) il singolo condòmino al quale viene imputata la violazione, dunque, l’amministratore è obbligato ad avviare la mediazione (c.d. condizione di procedibilità per una successiva causa).
Si rammenta, inoltre, che l’amministratore può partecipare alla mediazione solamente se preventivamente autorizzato dall’assemblea. Non può, quindi, attivare autonomamente la procedura senza averla sottoposta ad approvazione assembleare, che delibera con il quorum della maggioranza degli intervenuti ed almeno 500 millesimi