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Continua il dibattito sul “Registro” inscenato dai falsi rappresentanti di categoria

Rosario Calabrese

Economista - Docente universitario - Presidente Nazionale UNAI

 

La nostra povera categoria non trova pace.
Continue incursioni di personaggi che con la categoria non hanno nulla a che vedere, salvo che per il fatto di tentare di sfruttarla per fare il proprio personale business, continuano a sollevare polveroni, anche a livello ministeriale.

 

I guasti prodotti dalla legge 4/13, e prima ancora dalla legge 220/12, dopo averne minato l’essenza professionale e la sua autonomia operativa, investono ormai anche la figura dell’amministratore e il suo inquadramento giuridico.

Se con il vecchio ordinamento l’amministratore aveva la possibilità di operare in autonomia, fino al momento di rendere il conto della sua gestione, alla fine dell’anno, con la 220/12 è costretto invece a subire le continue ed indebite interferenze dei condomini e, oggi, anche del “fuoco amico”.

Questa idea bislacca del “registro” che in se non sarebbe deleteria e peregrina, lo diventa se ad esso si intende dare la funzione di ulteriore strumento di intralcio all’attività dell’amministratore e di sostanziale violazione della sua indipendenza professionale. Per nessuna categoria è previsto l’obbligo di rendere pubblico l’elenco dei propri clienti, così come non esiste l’obbligo di pubblicare i dati relativi al proprio aggiornamento professionale.

Ciò che stupisce è che non sono i condomini ad aggredire e picconare la figura e il ruolo dell’amministratore, bensì coloro che si dichiarano difensori della categoria.

Personaggi che della categoria non fanno neppure parte, dal momento che non amministrano condomìni, ma che dichiarano di rappresentarla e inventano sigle fasulle le quali aggregano i soliti quattro gatti e talvolta neppure quelli.

L’unico obiettivo di questa gente è una facile e spicciola notorietà, a buon mercato, anche se a farne le spese, poi, saranno gli amministratori.

La categoria avrebbe bisogno di una regolamentazione seria, che ne esaltasse la professionalità ed il ruolo sociale.

In questo la 220/12 è stata un’occasione mancata. Fin quando l’amministratore sarà relegato ad un ruolo marginale, quasi hobbistico, succube dei condomini e senza un suo riconoscimento professionale, questi palliativi o tentativi di un “contentino” faranno solo danno.

Le mie preferenze vanno ad un Albo di tipo classico, che dovrebbe essere vigilato, come tutti, dal Ministero della Giustizia.

In alternativa prediligo il riconoscimento di un ruolo equivalente in capo alle associazioni di categoria, che in tal caso dovrebbero essere vigilate dal Ministero della Giustizia, come gli Albi.

Da ultimo, considero accettabile anche un “Registro” a condizione, però, che sia selettivo, abilitante e qualificante.

Tutte quelle sciocchezze di cui si ciarla e che di fatto non sono un “registro” in senso professionale, ma un bando di coscrizione, con cui individuare e controllare i “cattivi”, non ci troverà mai d’accordo.

Prima che la questione scadesse nella “vetrina dei gonzi” che è diventata, quando sembrava che la proposta di un “registro” potesse essere una forma di reale riconoscimento, noi esprimemmo il nostro punto di vista che, in sintesi, si può così riassumere:

  • NO ad un registro fine a se stesso;
  • SI ad un registro con funzione abilitante vigilato dal Ministero della Giustizia.

Successivamente abbiamo avuto modo di esprimerci anche in relazione ad altri temi coinvolti nella questione, in particolare:

  • Abrogare la figura di amministratore interno da parte del proprietario;
  • Riscrivere l’art. 71 d.a.c.c. prevedendo la natura di professione intellettuale dell’attività di amministrazione condominiale, anche ai sensi dell’art. 2229 c.c., il cui esercizio dovrà essere subordinato all’iscrizione nel registro tenuto dal Ministero della giustizia, pena la nullità degli incarichi ricevuti e la decadenza dagli stessi;
  • Riscrivere il 71-bis d.a.c.c. che dovrà prevedere i requisiti per l’iscrizione al registro e introdurre il titolo minimo della laurea triennale ad indirizzo economico o giuridico (con contestuale sanatoria per quanti hanno già maturato un diritto acquisito);
  • Nessun registro con raccolta pubblica di dati sui clienti, né sulla formazione ma esposizione dei soli dati del professionista che ha documentato all’ufficio pubblico la sua idoneità;
  • Revisione annuale del registro, anche con il flusso dati inoltrato dagli enti accreditati;
  • Rivedere la norma UNI 10801 e far valere la relativa certificazione come iscrizione de plano al registro;
  • Modificare il DM 140 prevedendo l’accreditamento al Ministero di enti di formazione (associazioni in primis) e i loro requisiti affinché siano riconosciuti i loro percorsi formativi e gli esami tenuti;
  • Prevedere almeno 200 ore di formazione iniziale e 60 ore per triennio per la formazione continua, senza esami periodici, come oggi avviene per gli avvocati o per gli ingegneri.

In buona sostanza, non volendo o non potendo istituire un Albo vero e proprio (se veramente è questa la volontà della nostra classe politica) accontentarci di un registro che, benché con nome diverso, sia comunque l’equivalente di un Albo.

Per fare un esempio, ipotizzo, per analogia, una regolamentazione analoga a quella dei revisori legali, ovvero una articolazione snella del dettato legislativo ma con obiettivi chiari,utili e ben centrati, sia nell’interesse dei professionisti che dei consumatori.

In questo contesto, in luogo dell’attuale figura del revisore condominiale (non meglio definita, ancorché introdotta dall’art. 1130-bis c.c.) prevedere la nomina di un altro amministratore professionista con il solo scopo di revisione contabile e prevederne la nomina quale incarico ordinario e di affiancamento all’amministratore, evitando la funzione (e la visione) punitiva o di censore che sembra essere la caratteristica della nuova figura introdotta dalla 220/12 del novellato codice civile.

Come si vede, anche a voler rimanere nell’alveo della 220/12 di lavoro serio se ne potrebbe fare tanto. Invece, da mesi ormai, sul tema, si sta parlando di “aria fritta”, asserendo di farlo nell’interesse e a nome degli amministratori.

La tutela della categoria è altra cosa.

In tale contesto, come era solito affermare Catone, nel Senato romano, con il suo “Cartago delenda est”, io continuerò ad affermare “la 220/12 va cancellata”.

Per ridare dignità ed efficienza all’amministratore auspico un ritorno al dettato del previgente articolo 1129 c.c. con ripristino del Codice di cui al RD 16 marzo 1942, n. 262, considerato che il nuovo ordinamento è un assoluto disastro. In particolare il numero minimo di 8+1 condomini per l’obbligatorietà dell’amministratore è esageratamente alto perché anche condomini con un numero inferiore richiedono, spesso, altissime competenze e professionalità. Già il limite previgente era esagerato: 4+1.  Abbasserei da “più di quatto” a “più di tre” il numero minimo che fa scattare l’obbligo dell’amministratore.

Infatti, se è relativamente facile creare una maggioranza con tre condomini, già con quattro è più difficile e potrebbe servire la mediazione dell’amministratore.

Il legislatore della 220/12 sembra invece aver puntato (con gli 8+1 condomini) sull’amministrazione interna, che a mio parere andrebbe invece vietata. Infatti poco importa che sia condomino o esterno, l’amministratore deve, sempre e comunque, possedere i requisiti per poter amministrare in forma professionalmente ineccepibile il condominio, quindi serve un professionista. Se l’amministratore interno lo è, può farlo anche lui, ma che a questo sia abbuonata la formazione specifica è una colossale sciocchezza.

Purtroppo siamo soli, ciò non di meno non demordiamo e siamo pronti a batterci a tutto campo anche nelle sedi istituzionali.



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