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Tabelle millesimali: approvazione, revisione, modifica

Luca Ficuciello

Avvocato del Foro di Foggia

Tabelle millesimali: approvazione, revisione, modifica

Il tema delle tabelle millesimali viene normato dall’art. 69 disp. att. c.c. sotto il profilo della loro approvazione e della eventuale revisione ovvero modifica.

La deliberazione delle tabelle millesimali deve essere assunta all’unanimità e non solo a maggioranza.
Con questa nuova disposizione, infatti, le tabelle millesimali possono essere rettificate o modificate solo e soltanto all’unanimità.

Il principio generale è il consenso reso da tutti i condomini per il loro aggiornamento o per la loro “correzione”, a titolo di rettifica di quelle esistenti.

L’art. 69 disp. att. c.c. –vieppiù- non dispone come obbligatoria la sede assembleare, prevedendo semplicemente che la modifica e/o la rettifica debba essere unanime.

Nulla esclude –ad ogni buon conto- che questi aggiornamenti possano essere svolti, oltre che nella riunione condominiale, anche in un incontro più informale, con la presenza della totalità dei condomini.

Le nuove tabelle, elaborate in questa maniera, possono essere incorporate non necessariamente in un verbale di assemblea, ma anche in un vero e proprio contratto, debitamente sottoscritto da tutti gli aventi diritto; esso dovrà essere allegato al regolamento dell’edificio, secondo il disposto dell’art. 68 disp. att. c.c.

Per garantire una equivalenza quanto più rigorosa tra il contenuto delle Tabelle Millesimali e l’effettivo valore delle unità immobiliari, la riforma del Condominio, l. n. 220/2012, ha previsto la possibilità, sia per le tabelle che recepiscano i criteri legali, sia per quelle che siano espressione dell’autonomia negoziale dei partecipanti al condominio, di essere soggette a revisione e modifica.

Vedremo, nel prosieguo della presente trattazione, che si tratta di due istituti che rispondono a diverse esigenze.

Il novellato art. 69 disp. att. del codice civile statuisce che la rettifica ovvero la modifica potrà concretizzarsi prevalentemente nell’interesse collettivo attraverso l’unanimità, ma anche nell’interesse di un solo condomino, per mezzo della maggioranza qualificata (art. 1136 c.c.), seppur solo in casi circoscritti.

La revisione, non soggetta a prescrizione, sarà attuabile qualora non vi sia corrispondenza tra il valore delle unità immobiliari riconosciute in tabella ed il loro valore effettivo, e che tale incongruenza sia stata causata da un errore rilevante.

Per errori rilevanti si intendono quelli effettivamente verificabili che determinino un conflitto oggettivo tra il valore concreto delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale che ad esse è stato attribuito dalle tabelle.

Volendo svolgere una esemplificazione in base agli insegnamenti più recenti della Cassazione, si può procedere ad un netto discernimento tra:

  • Errori afferenti la determinazione dei requisiti necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti: estensione; altezza; esposizione; ubicazione; luminosità; utilità; funzionalità globale dell’alloggio.
  • Errori di fatto, ovvero errori di calcolo commessi nell’effettuare operazioni di matematica; errori nella misurazione della superficie reale o della cubatura; errori consistenti nell’avere scambiato la stima di un appartamento con quella di un altro; errori nella misurazione della planimetria o degli schizzi altimetrici; errore nell’avere attribuito ad un appartamento un servizio inesistente; errore nell’avere dato ad un alloggio una destinazione diversa da quella reale.
  • Errori di diritto, e pertanto riconducibili ad una interpretazione scorretta delle norme o delle stesse sentenze tra cui rientra, a mo’ di esempio, considerare elementi che invece non siano contemplati dall’art. 68 disp. att.: le migliorie apportate dal singolo condomino o il valore locativo, o la modifica della destinazione d’uso. Quest’ultima è stata esclusa dalla Cassazione che con una recente sentenza, la n. 19797 del 04.10.2016, ha affermato che il cambio d’uso non comporta la revisione delle tabelle millesimali, sicchè la possibile destinazione degli immobili è provocata –sostanzialmente- da valutazioni di carattere soggettivo.

La modifica, al contrario, è da considerare uno strumento cui ricorrere nella ipotesi in cui la sostanza tra i valori dei piani sia palesemente oggetto di modificazioni, in virtù della trasformazione dell’edificio come nel caso della sopraelevazione, di espropri parziali ovvero di importanti  innovazioni chiaramente previste dalla norma; si tratta –perciò- di circostanze sopravvenute, non riconducibili alla volontà dei partecipanti, scevre dalla volontà palesatasi a mezzo  della formazione delle tabelle, che abbiano modificato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di uno solo dei condòmini.

I predetti strumenti potranno essere adottati:

  1. All’unanimità, per la modifica dei criteri legali di ripartizione o per quelli stabiliti convenzionalmente (per i quali necessariamente vi sarà stata una delibera adottata all’unanimità);
  2. A maggioranza qualificata, nell’interesse di un solo condomino, in caso di errore e/o alterazione per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare, e comunque per modifiche che non vadano ad incidere sui criteri di calcolo proporzionali previsti dall’art. 68 disp.att., artt. 1123, 1124, 1126 c.c.

In particolare:

– in prima convocazione, una volta acclarata la regolare costituzione dell’assemblea con l’intervento dei due terzi dei partecipanti al condominio; in questo caso è necessario che la deliberazione venga approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio;

– in seconda convocazione la legge prevede che, laddove l’assemblea non abbia potuto deliberare in prima convocazione per mancanza di numero legale, la deliberazione sia valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresentino almeno un terzo del valore dell’edificio.

La valutazione in termini processuali e sostanziali, nella ipotesi in cui si voglia concretizzare la revisione dei valori proporzionali della tabella allegata al regolamento, o si addivenga ad impugnare la delibera dell’assemblea condominiale di approvazione di nuove tabelle millesimali basata non sull’errore o sulla sopravvenuta sproporzione per i vizi dell’atto assembleare stesso, sarà necessario agire nei confronti del condominio nella persona del suo amministratore e non nei confronti dei singoli condòmini.

La sentenza che accoglie la domanda di revisione e/o modifica ha natura costitutiva, sicchè la sua efficacia scatta dal suo passaggio in giudicato, e –quindi- solo quando saranno stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione a disposizione ovvero quando saranno scaduti i termini per farlo. Solo da tale momento potranno applicarsi, nella ripartizione delle spese, i criteri stabiliti dalle nuove tabelle millesimali.

Da ciò discende che il condominio, ottenuta la revisione giudiziale di tabelle millesimali errate con una sentenza costitutiva e –quindi- ad efficacia retroattiva, sulla base dei nuovi parametri, potrà agire con l’azione di indebito arricchimento per ottenere, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza, il rimborso delle spese che uno dei comproprietari abbia sostenuto a causa dell’errore che ha viziato le tabelle.

Con la sentenza n. 25790 del 14.12.2016 -poi- la Cassazione ha stabilito che, nel caso si voglia impugnare la delibera che le ha istituite, la prova su cui fondare la revisione sarà di pertinenza del condominio, dal momento che  la prova dell’esistenza delle condizioni che possano portare alla modifica delle tabelle, incombe su chi intende modificarle.

Naturale corollario sarà che il costo della revisione sia a carico di chi l’abbia provocata e che, in caso di contestazioni su specifici addebiti di spesa, è di pertinenza del condominio dimostrare che l’addebito sia frutto della azione del condomino o condomini che abbiano postulato la revisione.
Se non si raggiungono le maggioranze costitutive (compresa quella della seconda convocazione), o quelle deliberative, anche un solo condomino, che abbia interesse a far modificare i millesimi, potrà ricorrere al giudice. Si tratta dei c.d. verbali negativi, che legittimano l’azione giudiziale atta a sopperire all’impossibilità di gestione condominiale. Questa possibilità è in ragione dell’applicazione degli artt. 1105 e 1106 c.c., in tema di comunione, alle fattispecie condominiali, giusto il rimando alla normativa della comunione disposto dall’art. 1139 c.c., norma di chiusura della disciplina del condominio.

La norma prosegue disponendo che i valori millesimali possano essere rettificati anche nell’interesse di un solo condomino. Non viene detto chi deve convocare la riunione del palazzo, se possa provvedervi direttamente il condomino interessato o se sia onere dell’amministratore. Stante il silenzio della legge e il principio generale che la convocazione dell’assemblea è specifica attribuzione del mandatario, si ritiene che sia quest’ultimo a dovervi provvedere. Dubbi sorgono sull’obbligo di quest’ultimo di chiamare l’assemblea per il caso in cui sia richiesto da un solo condomino. Si potrebbe concludere in questo senso tenendo conto che la norma dispone che le tabelle possano essere modificate anche solo sulla base dell’interesse del singolo.

Come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, n. 18477/2010, intervenuta di recente, le tabelle non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio. Esse valgono quale negozio di accertamento di un dato che già esiste nella realtà, quale la proporzione dei singoli alloggi rispetto al complesso dell’edificio. Il loro scopo è eliminare l’eventuale incertezza del valore degli uni e dell’altro.

L’intento legislativo tuttavia non pare rispettare le motivazioni dei nostri giudici. Non viene seguito il corretto confine tra le tabelle millesimali assembleari e quelle contrattuali. Le ultime decisioni, in primis la richiamata Cassazione a Sezioni Unite, hanno affermato che se le tabelle hanno contenuto assembleare, possono essere modificate in assemblea, con le relative maggioranze, anche se sono nate con l’approvazione all’unanimità.

Non così nel caso in cui l’oggetto sia contrattuale, in quanto solo il consenso unanime ne permette la modifica. Le tabelle sono lo specchio in termini matematici del contenuto del regolamento, contrattuale o assembleare. La giurisprudenza si è premurata di evidenziare che è l’oggetto delle clausole a dettare i criteri delle modifiche: se la disposizione attiene a un diritto reale, è solo il consenso unanime a comportare la modifica della clausola e della tabella.

Così si legge nel prosieguo della decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 18477/2010: «Una volta chiarito che a favore della tesi della natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali non viene addotto alcun argomento convincente, se si tiene presente che tali tabelle, in base all’art. 68 disp. att. c.c., e , in base all’art. 1138 C.C., viene approvato dall’assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all’intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, dovrebbe essere logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio… Occorre distinguere tra disposizioni tipicamente regolamentari e disposizioni contrattuali e che solo per le seconde è necessario, ai fini della loro modifica, l’accordo di tutti i partecipanti, mentre le prime sono modificabili con le maggioranze previste dalla legge, precisando ulteriormente che: a) sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilità non può incidere la loro comune inclusione nel regolamento (sent. 14 novembre 1991 n. 12173); b) hanno natura contrattuale solo le clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetti ad altri (sent. 30 dicembre 1999 n. 943); sulla base di tali premesse non sembra, in linea di principio, non sembra poter riconoscere natura contrattuale alle tabelle millesimali per il solo fatto che, ai sensi dell’art. 68 disp. att. cod. civ., siano allegate ad un regolamento di origine c.d. “contrattuale”, ove non risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, Se sia inteso approvare que1la “diversa convenzione” di cui all’art. 1123 coma 1, cod. civ. (in senso conforme cfr. implicitamente la sentenza 2 giugno 1999 n. 5399, la quale, con riferimento ad una ipotesi in cui le tabelle allegate al c.d. regolamento contrattuale non avevano rispettato il principio della proporzionalità di cui all’art. 68 disp. att. cod. civ., ha affermato che le tabelle millesimali allegate a regolamento contrattuale non possono essere modificate se non con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria. Alla luce di quanto esposto deve, quindi, affermarsi che le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma…» (Cass. civ., S.U., 9 agosto 2010, n. 18477).

La norma pare utilizzare i termini «revisione» e «modifica» in ragione delle fattispecie dalla stessa indicate: la revisione è in relazione alla tabella redatta per errore, mentre la modifica si ha nel caso in cui sia variata la consistenza anche di un solo alloggio sito nel condominio. La versione precedente all’approvazione finale della novella prevedeva che l’errore avesse natura prettamente tecnica, qualificandosi come «errore di calcolo materiale». L’esclusione di questa indicazione può far ritenere applicabile l’istituto dell’errore causa dell’annullamento del contratto ex artt. 1427 c.c., quindi quale vizio del consenso. L’art. 1430 c.c. specifica che l’errore è di calcolo e non comporta l’annullamento del contratto ma solo la rettifica del medesimo, tranne quando si concreta sulla quantità, se è stato determinante del consenso. La mancata esplicita natura dell’errore non si ritiene comunque determinante. La tabella millesimale non è un contratto ma un semplice negozio di accertamento, come evidenziato dalla giurisprudenza; a tal proposito giova richiamare la menzionata decisione assunta a Sezioni Unite della Suprema Corte, per la precisione la n. 18477/2010. L’errore che viene –pertanto- in considerazione può essere solo l’errore di calcolo o comunque l’errore materiale.

La norma in esame dispone che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari possano essere sempre riveduti all’unanimità, ovvero riveduti o modificati in sede assembleare con la maggioranza sancita dal c. 2 dell’art. 1136 c.c., cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti alla riunione e almeno la metà del valore dell’edificio.

L’indicazione normativa non entra nel merito della tipologia di clausole che si intendono modificare, se di natura contrattuale o assembleare. Non pare si possa intravedere, stante il tenore della norma, una distinzione dei casi in cui è lecita la modifica a maggioranza o è necessario il consenso unanime delle clausole del regolamento. Si richiamano, a questi fini, i principi affermati dalla Cassazione a Sezione Unite n. 18477/2010 appena riportati, decisione che si sofferma sulla distinzione tra le clausole del regolamento e le tabelle a esso allegate.

Anche il richiamo all’art. 68 disp. att. c.c. non è chiaro, potendo semplicemente significare che si tratta delle tabelle che – come è di norma – sono allegate al regolamento o che l’applicazione della norma entra nel merito della disposizione di cui all’art. 68 disp. att. c.c., per il riparto delle spese di cui agli articoli da questa richiamati. Se così fosse, la sola ripartizione delle spese menzionate dall’art. 68 disp. att. c.c., – nello specifico dettate dagli artt. 1123, 1124, 1126 c.c. – può costituire oggetto di procedimento di revisione davanti all’autorità giudiziaria. Si ritiene più corretto propendere per il ricorso giudiziario nelle varie ipotesi contemplate in precedenza dalla norma nell’interesse anche di un singolo condomino « […] 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino […]», sia per parità di trattamento di situazioni identiche, sia per la terminologia utilizzata dal legislatore, con l’indicazione della “revisione”.
L’intervento del Tribunale è possibile solo in queste specifiche ipotesi.

La disposizione ha il pregio di aver evidenziato che il soggetto passivo dell’azione è l’amministratore, in rappresentanza del condominio; anche se l’edificio non ha personalità giuridica, questa precisazione è un corretto escamotage alla necessità, precedentemente sentita da parte della giurisprudenza, di citare in giudizio tutti i condomini, onde avere un corretto contraddittorio e quindi una sentenza valida per la collettività.

Questa puntualizzazione è opportuna anche in ragione del contenimento dei costi del processo (cfr. Cass. civ., Sez. II, 9 luglio 2004, n. 12743).

Il procedimento giudiziario di revisione delle tabelle del condominio, come da sempre affermato dalla giurisprudenza, ha efficacia costitutiva e quindi non ha effetto retroattivo (cfr. Cass. civ., Sez. III, 10 marzo 2011, n. 5690).

L’amministratore citato in giudizio deve dare notizia senza indugio all’assemblea. Una volta ricevuta la notifica dell’atto, non ha l’obbligo di convocare una riunione del condominio ad hoc,ma deve eseguire l’apposita comunicazione. Per poter rendere edotto il condominio deve inserire questo argomento come ordine del giorno tra i temi da trattare nella prima assemblea che indice per altre questioni. La convocazione dell’assemblea può anche non esplicitare questo argomento: trattandosi di semplice comunicazione, si può esporre la questione anche quando si stia affrontando il tema delle «Varie ed eventuali» di cui all’avviso di convocazione.

L’onere dell’amministratore attiene alla semplice informativa sulla cui base i condomini prendono atto dell’instaurazione del procedimento giudiziale. Si tratta comunque di un preciso obbligo del mandatario dell’edificio. Potendo inserire questo argomento nella voce «Varie e eventuali» dell’avviso di convocazione, ciò a cui deve adempiere non è l’indicazione del procedimento di modifica delle tabelle del condominio nella chiamata dell’assemblea, bensì è la comunicazione da eseguire ai condomini in sede di prima assemblea. Ove non vi provveda, si espone al rischio di essere revocato e di vedersi domandare il risarcimento dei danni: mentre è comprensibile l’azione di revoca, trattandosi di obbligo relativo al suo mandato, è difficile ipotizzare che la mancata comunicazione dell’azione promossa dal condomino per la revisione tabellare esponga l’amministratore a eventuali danni.

Trattandosi di semplice comunicazione, difficoltà concrete paiono sussistere anche in termini di quantificazione economica della relativa richiesta; inoltre, poiché la nuova norma prescrive la costituzione in giudizio del condominio per il tramite del proprio amministratore, non si riesce a comprendere quale possa essere il danno che viene a crearsi nei confronti dei singoli condomini, quando questi siano rappresentanti collettivamente dal proprio mandatario.

L’indicazione dell’obbligo di rendere edotta l’assemblea discende dall’art. 1131 c.c., trattandosi di argomento non rientrante nelle dirette attribuzioni dell’amministratore.
Ci si domanda se l’amministratore debba ottenere uno specifico mandato a costituirsi nel relativo giudizio, con debita autorizzazione assembleare, o se la sua legittimazione processuale discenda dalla norma in esame, in ragione della sua indicazione quale soggetto chiamato a ricevere l’atto processuale di instaurazione del giudizio. La recente decisione della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 18332/2010 ritiene che la legittimazione passiva dell’amministratore è di derivazione assembleare e non autonoma. Sulla scorta di questa sentenza, occorre sempre l’autorizzazione del condominio. Ragioni di opportunità e di diligenza professionale fanno propendere per quest’ultima soluzione, salvo che la giurisprudenza, che verrà chiamata a esaminare questo tema, non ritenga che si tratti di legittimazione autonoma e non derivata (cfr. Giurisprudenza di riferimento Cass. civ., S.U., 6 agosto 2010, n. 18332).

 

Non capita raramente – infine – che le tabelle millesimali vengano modificate durante la vita dell’edificio e questo può avvenire alternativamente o perché alcune unità vengano interessate da lavori (come, per esempio, la copertura o la sopraelevazione di aree del fabbricato) oppure perché ci si accorga che, in sede di originario calcolo dei millesimi, era stato commesso qualche errore.

Ebbene, nel primo caso non vi è dubbio che le nuove tabelle possono avere valore solo dal momento in cui si sono effettivamente verificate le modifiche e che quindi non abbiano alcun valore per il passato. Diverso il discorso nella seconda ipotesi dove legittima potrebbe essere la pretesa, da parte di alcuni condomini, di ottenere, da chi si è avvantaggiato dell’errore della tabella, la restituzione delle maggiori somme da essi versate all’amministratore. Come si risolve, allora questo conflitto?

Sul tema della revisione delle tabelle millesimali si è pronunciata, in passato, la Cassazione. Secondo la Corte, se qualcuno ha tratto vantaggio dall’utilizzo, a riparto spese, delle tabelle obsolete errate, perciò inattendibili, deve versare quanto non ha precedente dato rispetto al dovuto. Insomma, è necessario fare una compensazione tra chi ha dato di più e chi, invece, ha dato di meno a causa dell’errato calcolo delle tabelle.

È ovvio che se il condomino in questione non sia disposto a collaborare bonariamente, versando il dovuto, gli altri condomini controinteressati dovranno intraprendere un’azione giudiziaria per ottenere il pagamento delle quote arretrate: si tratta di una causa che, in gergo tecnico, viene chiamata “azione di indebito arricchimento”, da intraprendere –ovviamente- nei confronti del condomino che ha usufruito di tale vantaggio.

La causa però deve essere esercitata entro un termine massimo di 10 anni, ovvero nel termine di prescrizione ordinaria.

Questo però non significa che si potranno ottenere solo gli arretrati dell’ultimo decennio e non, anche, quelli a partire dall’edificazione del palazzo o, quanto meno, dalla commissione dell’errore. Infatti, secondo il codice civile la prescrizione incomincia a decorrere a partire dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere che, nel caso di specie, coincide con il momento in cui chi subisce il danno viene adeguatamente informato dell’ingiustizia subita.

Per esempio, se il condomino venga informato da un perito dell’errore nella compilazione della tabella millesimale dopo 20 anni dall’edificazione del palazzo, ha la possibilità di esercitare l’azione di indebito arricchimento entro 10 anni da tale momento.

Diverso è il discorso della modifica delle tabelle millesimali, a seguito –cioè- della variazione di uno degli appartamenti, che non può avere efficacia retroattiva e, anzi, può produrre effetti solo dal momento della loro approvazione; inoltre, per quel che concerne le spese da sostenere per il ricalcolo dei millesimi, la riforma del condominio ha stabilito che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari, così come espresse nella tabella millesimale, possano essere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio nei seguenti casi:

  • quando risulta che sono conseguenza di un errore;
  • quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza
  • di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di 1/5 il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione.

Sicché, dalla norma citata emerge che, qualora l’incremento di superficie abbia alterato per più di 1/5 il valore proporzionale dell’unità immobiliare, il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione; altrimenti, qualora la variazione non sia rilevante, la modifica delle nuove tabelle sarà sostenuta da tutti i condòmini.

Infine, la modifica delle tabelle millesimali non incide sulla rendita catastale, in quanto quest’ultima rappresenta la redditività dal punto di vista fiscale che l’agenzia delle Entrate attribuisce a ogni singolo bene immobile.

Essa, in altre parole, rappresenta la base fiscale su cui vengono calcolate le imposte.

L’agenzia delle Entrate, infatti, suddivide il territorio in zone omogenee, quindi ripartisce gli immobili di ciascuna zona in categorie e classi catastali.

A ogni unità immobiliare viene associata la consistenza catastale sulla base della dimensione, espressa in vani, metri cubi o metri quadrati.

Avv. LUCA FICUCIELLO



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